
TERAPIA MEDICA,
NEURO-PSICHIATRICA E PSICOLOGICA
Dott. Sergio Angileri
▪
MALATTIA, PSICOPATOLOGIA
E DISTURBI DISFUNZIONALI
Occorre distinguere fra i seguenti
disturbi, con sintomi a volte simili e comuni fra loro, ma che sono espressione
di stati diversi.
Continuando a leggere, li
approfondiremo, anche se brevemente, uno per uno,
dato che per ciascuno dei suddetti stati cambia il tipo di intervento da
applicare.
stati di malattia neurologica/psichiatrica
e/o medica
stati di psicopatologia psichiatrica
stati di psicopatologia psicologica
stati di disturbi disfunzionali
stati di sofferenza/disagio
situazionale/esistenziale
Poi seguirà una
dettagliata informazione sulla terapia psicofarmacologica, sugli
psicofarmaci e
il loro uso.
Seguirà, infine, la descrizione di
altre forme di terapia psichiatrica, diverse dagli psicofarmaci.
●
§.1-
STATI DI
MALATTIA NEUROLOGICA/PSICHIATRICA E/O MEDICA
Alla base di questi stati c'è
una malattia oggettivamente riscontrabile, degli organi interessati (cervello, sistema nervoso
centrale e/o periferico, sistema neuro-endocrino, organi e sistemi preposti per
le funzioni metaboliche quali il fegato e altri). Quando la malattia di uno
o più di uno di questi organi è presente, si osservano guasti che si esprimono
per mezzo delle funzioni alterate di quegli organi.
Una
malattia neurologica-psichiatrica (malattie del cervello e/o
sistema nervoso), ad esempio, si esprime anche con disturbi/sintomi che
alterano le funzioni che normalmente chiamiamo "funzioni psicologiche".
Queste funzioni alterate a causa di una malattia neurologica implicano disturbi
e sintomi che, però, possono ritrovarsi anche negli altri stati dove è assente
qualsiasi malattia neurologica e spesso anche nei
"disturbi disfunzionali", dove è assente la psicopatologia strutturata.
Questi disturbi sono:
disturbi cognitivi (del pensiero),
disturbi umorali (alterazioni dell'umore quali varie forme
depressive),
disturbi emozionali (quali ansia, angoscia, ecc),
disturbi dell'atteggiamento e del comportamento
(compulsioni, azioni impulsive o incontrollate, comportamenti inusuali o
disadattati, comportamenti alimentari alterati, anoressici, bulimici,
comportamenti di dipendenza da sostanze, sesso, gioco, da altre persone, ecc),
disturbi somatici (sintomi, psicosomatici o neurovegetativi, che
possono sembrare altre malattie del corpo, ma che sono invece espressioni
secondarie della malattia neuro/psichiatrica primaria);
disturbi psicosessuali (difetto o eccesso della libido, alterazioni
erettive, eiaculatorie, orgasmiche, vaginismo, dispareunia, maniacalità sessuali
di varie tipologie, miscelazioni sesso/aggressività/violenza, ecc).
Quando questi disturbi (sintomi) sono
definiti come malattia, deve essere vero che si sia accertato in diagnosi la CAUSA ORGANICA
di essi. In assenza di diagnosi di malattia organica che generi quei disturbi
psicologici, non parliamo più di MALATTIA MEDICA ma di PERSONA SOFFERENTE
(altrimenti detta "persona malata"). La
sofferenza che sente una persona e che si manifesta anche con abbattimenti
umorali, oppure con paure espanse (ansia, panico, angoscia), comportamenti di evitamento, sublimati o sostitutivi di altri, in assenza di diagnosi medica
positiva rispetto alla presenza di malattia d'organo, non può essere curata con
presidi medici proprio perchè è assente la malattia.
I trattamenti dei
disturbi e dei sintomi che derivano da malattie
neurologiche/psichiatriche, sono:
- la
terapia
medica e la
terapia
psicofarmacologica: questa è la terapia primaria e
fondamentale;
- una
psicoterapia di supporto alla terapia medica e
farmacologica: a volte può essere utile;
- metodi del
Counseling analitico transazionale, dei protocolli
Mindfulness, oppure tecniche EMDR o ipnotiche, in alcuni
casi, possono essere utili in affiancamento alle terapie
precedenti, poichè spesso facilitano o accelerano la guarigione.
|
§. 2-
STATI DI PSICOPATOLOGIA
PSICHIATRICA
La psicopatologia psichiatrica
si distingue dalla malattia neurologica/psichiatrica, perchè nella
psicopatologia psichiatrica non si individua con certezza una malattia degli
organi (cervello, sistema nervoso, sistema neuro-endocrino, organi e sistemi
del metabolismo). Spesso i disturbi e i sintomi della
psicopatologia psichiatrica sono molto simili a quelli della
malattia neurologica/psichiatrica ( e cioè,
disturbi cognitivi
(del pensiero),
disturbi umorali (alterazioni dell'umore quali varie forme
depressive),
disturbi emozionali (quali ansia, angoscia, ecc),
disturbi dell'atteggiamento e del comportamento
(compulsioni, azioni impulsive o incontrollate, comportamenti inusuali o
disadattati, comportamenti alimentari alterati, anoressici, bulimici,
comportamenti di dipendenza da sostanze, sesso, gioco, da altre persone, ecc),
disturbi somatici
(sintomi, psicosomatici o neurovegetativi, che
possono sembrare altre malattie del corpo, ma che sono invece espressioni
secondarie della malattia neuro/psichiatrica primaria);
disturbi psicosessuali (difetto o eccesso della libido, alterazioni
erettive, eiaculatorie, orgasmiche, vaginismo, dispareunia, maniacalità sessuali
di varie tipologie, miscelazioni sesso/aggressività/violenza, ecc).
Ma
nonostante la sovrapposizione sintomatica, nella sindrome complessiva
psicopatologica, mancano i correlati sintomi patognomonici della malattia
d'organo, che consentono al medico, infatti, di fare una diagnosi differenziale
fra malattia e psicopatologia psichiatrica. La psicopatologia psichiatrica
infatti, a differenza della malattia neurologica/psichiatrica, viene
diagnosticata con procedure cliniche specialistiche dello psichiatra
(semiologia, anamnesi e prognosi) e con metodologia fenomenologica. Mentre la
malattia neurologica/psichiatrica si avvale, oltre che della diagnosi clinica
fenomenologica, anche e principalmente della diagnosi oggettiva, a mezzo dei
supporti strumentali e di laboratorio che dimostrano l'esistenza della malattia
dell'organo.
La psicopatologia psichiatrica è innanzi
tutto quella degli stati disturbati cronici,
fortemente strutturati, ad alta incidenza di familiarità o ereditarietà, con
basso livello di correlazione di causa-effetto con situazioni o eventi
scatenanti, palesemente resistenti o con fenomeni di rigetto, specialmente delle
"terapie" psicologiche. Questi sono principalmente i
disturbi psicotici, certi
gravi disturbi di personalità, forme di
disturbo psicopatico, le
gravi depressioni maggiore e forme gravi di
disturbi bipolari. Lo sono meno i cosiddetti
disturbi psiconevrotici, quali disturbi d'ansia, certe forme medie di disturbo
ossessivo-compulsivo, le depressioni reattive o medio/lievi, che invece
caratterizzano la psicopatologia psicologica.
I trattamenti dei
disturbi e dei sintomi che derivano da psicopatologia psichiatrica,
sono:
|
§. 3-
STATI DI PSICOPATOLOGIA
PSICOLOGICA
La
psicopatologia psicologica si distingue non solo, ovviamente, dalla
malattia neurologica/psichiatrica, ma anche dalla psicopatologia psichiatrica.
Dalla psicopatologia psichiatrica
(dove è assente o difficilmente individuabile la malattia d'organo) si distingue in funzione del grado di
strutturazione del disturbo, in quanto disturbi psicopatologici simili
possono essere sia psichiatrici che psicologici: l'elemento
differenziale è il grado di strutturazione del disturbo. La
psicopatologia psichiatrica è infatti caratterizzata, pur in assenza di
malattia, da una robusta strutturazione cronica, come abbiamo visto prima.
Mentre la psicopatologia psicologica è caratterizzata da una strutturazione più
"morbida". Meno solida e cronica è la struttura del disturbo e
più il disturbo può essere trattato con metodi psicologici, psicoterapeutici e
analitici e il grado della strutturazione è dimostrato anche da quanto la
persona collabora con lo psicoterapeuta, permettendo l'analisi e la penetrazione
anche nel profondo del suo sistema mentale conscio e inconscio. Il grado della
strutturazione del disturbo è dimostrato anche da quanto e come la persona
possiede una condizione mentale che le consente di acquisire consapevolezza per
mezzo della psicoterapia e da quanto e come la persona si rende disponibile ad
adoperarsi, insieme allo psicoterapeuta, per apportare modifiche alla forma
della sua mente e cambiamenti di diverso livello sia cognitivo che
comportamentale. Quindi alcuni disturbi, anche quelli psicotici, possono anche
sovrapporsi con quelli della psicopatologia psichiatrica, ma pur sembrando
eguali, differiscono nel grado della loro strutturazione.
I trattamenti dei
disturbi e dei sintomi che derivano da psicopatologia psicologica,
sono:
- la
Psicoterapia: questa è la terapia primaria e
fondamentale;
- terapia
psicofarmacologica: a volte può essere utile o
necessaria;
- metodi del
Counseling analitico transazionale, dei protocolli
Mindfulness, oppure tecniche EMDR o ipnotiche: sono
metodi di molta utilità ed efficacia in integrazione alle
terapie precedenti, poichè è dimostrato che facilitano,
accelerano la guarigione e la rendono più stabile.
|
§. 4-
STATI DI DISTURBI DISFUNZIONALI
I
disturbi disfunzionali non sono, ovviamente, malattia
d'organo
neurologica/psichiatrica, ma non sono nemmeno psicopatologia psichiatrica o
psicologica.
Per una spiegazione e descrizione completa di questi stati,
CLICCARE QUI.
§. 5-
STATI DI
SOFFERENZA/DISAGIO SITUAZIONALE/ESISTENZIALE
Questi stati sono spesso
miscelati o sovrapposti ai disturbi disfunzionali del punto precedente.
Si
distinguono però, per il fatto che non sempre le
condizioni di sofferenza/disagio situazionale/esistenziale implicano
sintomi rilevanti, se non un diffuso stato di
tristezza, incertezza, confusione, diminuzione del piacere e della motivazione,
un certo disinteresse verso obiettivi o mète, a volte anche una sottile paura
della morte o della stessa instabilità e incertezza della vita stessa.
Queste condizioni spesso si prestano ad essere confusi con veri stati
depressivi/ansiosi, più o meno disfunzionali o addirittura strutturati.
Una tipica condizione dello stato di sofferenza/disagio
situazionale/esistenziale, è quello della
crisi di coppia, dove vengono meno e si confondono
significati, valori e certezze che fino a un certo tempo prima sembravano
indiscutibili.
Altre condizioni tipiche sono quelle correlate alla
malattia grave o al decesso
di persone molto care, oppure ancora giovani.
Altre condizioni riguardano
l'avvento di inattesi disastri ambientali, oppure
perdite economiche o del lavoro e qualsiasi altra
situazione di vita che dimostra, all'improvviso, che ogni
cosa è relativa, impermanente, fragile e mutevole, senza alcun preavviso.
Alcuni
altri dettagli sono descritti qui
CLICCARE QUI.
GLI PSICOFARMACI
§
ANTIDEPRESSIVI
Fra le diverse modalità terapeutiche
che si sono rivelate utili ed efficaci nel trattamento della depressione
e della distimia (psicoterapia, farmacoterapia, terapia elettroconvulsivante, ecc.), quella più largamente disponibile per la
maggior parte dei medici, psichiatri e non, è la farmacoterapia che è,
perciò, quella più diffusa.
I primi farmaci antidepressivi furono
scoperti verso la metà degli anni Cinquanta. Da allora numerosi sono
stati gli antidepressivi immessi nel mercato. Non tutti hanno avuto
successo: alcuni hanno resistito all’arrivo dei nuovi farmaci, altri
sono usciti dal commercio perché o meno efficaci dei nuovi arrivati o
perché gravati da maggiori effetti collaterali.
Generalmente gli antidepressivi si
suddividono in gruppi in funzione della struttura chimica o del/i
neuromediatore/i su cui agiscono. I primi antidepressivi sono stati gli
inibitori delle MonoAminoOssidasi (I-MAO),
seguiti dagli antidepressivi triciclici (TCA)
e quindi dagli
antidepressivi atipici; più recentemente, sono state introdotte
nella terapia delle molecole con attività di inibizione selettiva del
reuptake di uno o più neuromediatori ed in primo luogo della serotonina
(SSRI
- serotonin selective reuptake inhibitors), ma anche della noradrenalina
(NaRI
- noradrenalin reuptake inhibitors) e della noradrenalina e della
serotonina (SNRI
- serotonin-noradrenalin reuptake inhibitors), così come modulatori
dellatrasmissione serotoninergica e noradrenergica (NaSSA
- noradrenergic and specific serotonergic antidepressants).
L’efficacia e la sicurezza degli
antidepressivi nel trattamento in acuto e nel mantenimento dell’episodio
depressivo sono ampiamente documentate da numerosi studi dai quali
emerge che:
-
Gli antidepressivi, in generale, sono
maggiormente efficaci rispetto al placebo.
-
L’efficacia non è significativamente
diversa nelle varie classi di antidepressivi e tra i vari composti
della stessa classe.
-
Gli antidepressivi di nuova
generazione (in particolare gli
SSRI) sono generalmente meglio tollerati e più sicuri rispetto
ai triciclici (TCA).
-
La risposta al trattamento con
antidepressivi si manifesta, in genere, non meno di 10-15 giorni
dall’inizio del trattamento, ma la sua latenza può protrarsi anche
fino a sei settimane: se dopo questo periodo non si osserva alcuna
risposta, è necessario passare ad un altro antidepressivo
(possibilmente con diverso meccanismo d’azione).
-
La terapia di mantenimento con
TCA o
SSRI riduce il rischio di ricadute.
-
Il trattamento farmacologico deve
essere continuato per almeno sei mesi dopo la remissione della
sintomatologia, a dosaggi uguali a quelli usati nella fase di acuzie
clinica.
Gli antidepressivi di cui disponiamo
sono diversi l’uno dall’altro: è proprio grazie a questa diversità che,
quando un antidepressivo non mostra un effetto terapeutico (o l’effetto
terapeutico è insoddisfacente) si può ragionevolmente ipotizzare che la
depressione risponda ad uno degli altri antidepressivi di cui
disponiamo, scegliendone uno che agisca su un diverso
neurotrasmettitore.
(vedi
fonte e approfondimenti)
GLI ANTIDEPRESSIVI ATIPICI
Gli antidepressivi di seconda generazione sono detti anche
"atipici" perché hanno una struttura molecolare eterogenea e comunque
non triciclica, pur avendo un meccanismo d’azione grossolanamente
sovrapponibile a quello dei
TCA (agiscono prevalentemente sulla noradrenalina (NA), meno o per
niente sulla serotonina (5-HT).
Gli antidepressivi di seconda generazione sono nati per l’esigenza
di avere presidi terapeutici più efficaci e più maneggevoli, ad azione
più rapida, con minori effetti collaterali, capaci di agire sui pazienti
resistenti ai
TCA o appartenenti a categorie per le quali i
TCA erano controindicati. In linea di massima queste sostanze si
sono dimostrate meglio tollerate, ma spesso non sono risultate più
efficaci dei
TCA. Molte di queste sostanze non sono più in commercio almeno in
Italia.
Gli antidepressivi atipici attualmente in commercio sono elencati
nella tabella sottostante.
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE
(mg/die) |
AMISULPRIDE |
Deniban, Solian, Sulamid |
50 |
DOTIEPINA |
Protiaden |
75-300 |
LEVOSULPRIDE |
Levobren, Levopraid |
25 - 100 |
OXITRIPTANO |
Tript-OH |
800-1.500 |
MAPROTILINA |
Ludiomil |
75-150 |
MIANSERINA |
Lantanon |
40-120 |
S-ADENOSIL-L-METIONINA |
Donamet, Isimet, Samyr, Transmetil |
400 - 600 |
TRAZODONE |
Trittico |
150-600 |
-
La dotiepina ha un profilo farmacologico simile a quello dei
TCA, inibisce il reuptake di NA e 5-HT e mostra una potente
azione antistaminica e anticolinergica centrale.
-
L’amisulpride e la levosulpride sono benzamidi
sostituite che determinano un aumento di funzionalità del sistema
dopaminergico.
-
La maprotilina ha una maggiore azione sedativa di imipramina
ed amitriptilina, ha minori disturbi anticolinergici, mentre più
frequenti sono i rash cutanei.
-
Il trazodone è un debole inibitore del reuptake della
serotonina e della nordrenalina; fra gli effetti collaterali, oltre
a quelli anticolinergici, si devono segnalare effetti sulla sfera
genitale (compreso il rischio di priapismo) e la sedazione.
-
La mianserina ha un’attività sedativa a livello del sistema
nervoso centrale, senza significativi effetti collaterali
anticolinergici; non ha azione sul sistema cardiovascolare, può
essere, invece, causa di discrasie plasmatiche (anemia aplastica e
agranulocitosi).
-
La s-adenosil-l-metionina (SAME) è un donatore di metili che
interviene, a livello cerebrale, nel metabolismo dei
neurotrasmettitori (noradrenalina, dopamina, serotonina, ecc.).
-
L’oxitriptano è un precursore della serotonina.
-
(vedi
fonte e approfondimenti)
GLI ANTIDEPRESSIVI TRICICLICI - TCA
Gli antidepressivi triciclici (o TCA) dovono il nome alla loro
struttura chimica -triciclica- che deriva da quella delle fenotiazine:
fu, infatti, studiando la struttura fenotiazinica alla ricerca di nuovi
farmaci antipsicotici che ci si rese conto che una delle molecole
isolate, l’imipramina, aveva attività antidepressiva.
All’imipramina seguirono l’amitriptilina, la
nortriptilina, la desimipramina e la
clomipramina, tutte dotate di buona attività antidepressiva e
tutte aventi a comune il meccanismo d’azione consistente nell’inibizione
del reuptake delle monoamine (noradrenalina, serotonina e/o dopamina) a
livello delle sinapsi (in realtà, queste sostanze, nel trattamento
protratto, mostrano anche altre attività come modificazione della
sensibilità e del numero dei recettori post-sinaptici, ecc. che
contribuiscono all’azione antidepressiva).
I TCA agiscono anche su altri neuromediatori (istaminergici,
muscarinici, alfaadrenergici, ecc.) e queste azioni sono responsabili
dei numerosi effetti indesiderati di cui questi farmaci sono gravati:
-
antimuscarinici: bocca secca, ritenzione urinaria, costipazione,
tachicardia, visione offuscata, alterazioni cognitive, disfunzioni
sessuali
-
antistaminici: sedazione
-
antiadrenergici: ipotensione ortostatica
-
blocco dei recettori 5-HT2c: aumento di peso
I TCA, inoltre, possono:
-
aumentare il rischio di convulsioni in soggetti predisposti,
-
provocare aritmie cardiache a dosi superiori a quelle terapeutiche o
in soggetti predisposti,
-
trasformare il blocco di branca in bloco atrio-ventricolare,
-
provocare glaucoma acuto in soggetti con glaucoma ad angolo chiuso,
-
essere a rischio di tossicità in seguito a sovradosaggio.
Per quanto gravati dai numerosi effetti indesiderati, I TCA sono
stati per molti anni l’arma più importante per la cura della
depressione: solo l’avvento dei
serotoninergici selettivi - SSRI ne ha limitato l’impiego come
farmaci di prima scelta.
I TCA in commercio in Italia sono riportati nella tabella
seguente, nella quale sono indicate anche le dosi consigliate.
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE
(mg/die) |
AMITRIPTILINA |
Adepril, Laroxyl, Triptizol |
75-300 |
CLOMIPRAMINA |
Anafranil |
75-300 |
DESIPRAMINA |
Nortimil |
75-300 |
IMIPRAMINA |
Tofranil |
75-300 |
NORTRIPTILINA |
Noritren |
40-200 |
In commercio in Italia ci sono anche farmaci nei quali il TCA è
in associazione fissa con
BDZ o
neurolettici: questi prodotti sono riportati nella tabella seguente.
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE
(cp/die) |
AMITRIPTILINA +
CLORDIAZEPOSSIDO |
Diapatol, Limbitryl,
Limbitryl Plus, Sedans |
2-6 |
AMITRIPTILINA +
PERFENAZINA |
Mutabon Mite, M. Antidepressivo,
M. Ansiolitico. M. Forte |
2-6 |
NORTRIPTILINA +
FLUFENAZINA |
Dominans, Dominans Forte |
2-6 |
(vedi
fonte e approfondimenti)
●
2016:un nuovo farmaco
antidepressivo, frutto delle moderne ricerche scientifiche
VORTIOXETINA
In
PSIMED Palermo adottiamo,
fra gli altri, la
prescrizione di questo recentissimo farmaco, nelle
applicazioni di terapia e trattamenti contro la Depressione,
in modalità integrata particolarmente efficace (terapia
farmacologica - psicoterapia - counseling - trattamenti
psicologici - Mindfulness).
Vortioxetina è una molecola
antidepressiva, frutto delle più avanzate ricerche
neuroscientifiche e disponibile anche in Italia nella
seconda metà dell'anno 2016. Ai diversi vantaggi offerti,
rispetto ai precedenti farmaci, aggiunge un evidente effetto
positivo sul sistema cognitivo della mente. Questa molecola
risulta particolarmente utile anche nelle diverse forme
"depressive esistenziali", quando non sono divenute vera
malattia depressiva.
▪
Vortioxetina, una molecola con azione “multimodale” che
migliora i sintomi cognitivi nei pazienti con
depressione e che da oggi è rimborsabile anche per il
paziente italiano.
Un nuovo farmaco
per il trattamento della depressione, vortioxetina, è da
oggi rimborsabile anche in Italia. Frutto della ricerca
di Lundbeck, azienda danese specializzata nelle malattie
del sistema nervoso centrale, il prodotto sarà dunque
disponibile entro i primi giorni della prossima
settimana nelle farmacie.

vortioxetina
brintellix
nuovo antidepressivo
Destinata ai
pazienti che soffrono di episodi depressivi e di deficit
cognitivi (compromissione a carico della memoria, della
concentrazione, dell’attenzione e della capacità di
pianificazione) insiti nella natura stessa della
malattia. Si tratta di una nuovissima molecola, già nota
in Europa e in USA, di comprovata efficacia e
tollerabilità, con una doppia azione, detta
‘multimodale’, che agisce simultaneamente con due
diversi meccanismi d’azione a vantaggio di un
miglioramento dello stato emotivo-affettivo e delle
funzioni cognitive del paziente
Depressione ai
vertici della classifica delle malattie più diffuse: 33
milioni di casi in Europa, con prospettive in crescita
fino a raggiungere entro il 2030, secondo le stime
dell’OMS, il primo posto fra le patologie croniche.
Numeri pesanti, anche in termine di costi
economico-sanitari: 800 miliardi di dollari annui per
assistenza terapeutica, e mediamente 21 giorni di lavoro
all’anno persi per un lavoratore europeo depresso su
dieci.
Eppure solo un
paziente su tre si cura, iniziando comunque le terapie
con un grave ritardo sulla comparsa dei sintomi, ed
ancora meno segue cure ‘su misura’ idonee a ridurre le
manifestazioni della malattia, e soprattutto a garantire
una salvaguardia della sfera affettiva e cognitiva. Sono
infatti questi i due punti chiave che accrescono il
timore del paziente quando si sottopone ad una cura per
la depressione.
Punti chiave che
sono stati al centro della ricerca di Lundbeck, azienda
danese specializzata nelle malattie del sistema nervoso
centrale, che oggi vede approvata Vortioxetina, una
nuova terapia, definita ‘multimodale’, che garantisce
questa duplice protezione.
È infatti in
grado di aumentare i livelli delle monoamine coinvolte
nella depressione, intervenendo non solo sul
trasportatore della serotonina (su cui agiscono gli
attuali farmaci
SSRI ed
SNRI), ma anche, ora, su almeno altre due specifiche
azioni recettoriali: una azione agonista sul recettore
5HT1A, col tentativo di accorciare i tempi per il
ripristino della normale attività neuronale inibita o
messa a rischio dagli effetti depressivi a favore di una
riduzione degli stati ansiogeni, e poi con una azione
anti-agonista sul recettore 5HT3, con evidenti benefici
sull’aspetto cognitivo, migliorando l’apprendimento ma
anche la partecipazione alla vita di tutti i giorni.
Dunque con
effetti positivi sulle ripercussioni socio-relazionali
(apatia verso la vita professionale, perdita di piacere
o scarsa partecipazione alla normale quotidianità,
solitudine psico-emotiva) e cognitive (con un calo di
attenzione, memoria e concentrazione e un blocco della
capacità decisionale e di ‘problem solving’) tipiche
della depressione.
“Per combattere
la depressione in maniera efficace – dichiara
Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di
Neuroscienze dell’ASST Fatebenefratelli Sacco di
Milano e presidente della Società Italiana di
Psichiatria – occorre innanzitutto accorciare i tempi di
diagnosi, oggi ancora molto dilatati.
Le casistiche
più recenti attestano un periodo medio di due anni tra
l’insorgenza dei primi sintomi e la malattia conclamata
con un conseguente significativo ritardo, anche in
termini di risposta alla terapia, sull’inizio di
trattamenti mirati.
Ritardo
implicabile alla mancata presa di coscienza della
sintomatologia con cui si dichiara la depressione.
Infatti oltre a nota apatia e perdita di interesse verso
i piaceri della vita – da quella professionale fino a
quella sociale o di relazione – non vanno sottovalutati
neppure gli aspetti cognitivi. Questi non vanno intesi
soltanto come riduzione della concentrazione, attenzione
e memoria di lavoro, ma riguardano anche il
procrastinare una decisione o l’incapacità di attuare
strategie di ‘problem solving’ sia in contesti banali
che più complessi”.
È soprattutto ai
pazienti a medio-alto rischio che va posta la maggiore
attenzione e uno stretto monitoraggio. Per questi
pazienti potrebbe essere indicata proprio Vortioxetina.
“Come i classici
antidepressivi presenti in commercio – precisa
Giovanni Biggio, professore emerito di
neuropsicofarmacologia all’Università degli Studi di
Cagliari e Past President della Società Italiana di
neuropsicofarmacologia – anche questa molecola ha la
capacità di aumentare i livelli di serotonina, con
effetti benefici sulla sfera affettiva, cui però si
aggiunge anche una azione agonista e antiagonista su
diversi recettori della serotonina stessa con
conseguente impatto indiretto e specifico a livello
cerebrale sui livelli di altri neurotrasmettitori
coinvolti nella depressione. Aspetto, questo
differenziante dalle altre molecole disponibili.
Da un lato,
infatti, la Vortioxetina agisce sul recettore 5HT1A,
regolando in modo straordinario l’attività del neurone
serotoninergico, vale a dire che riduce i tempi di
latenza della normalizzazione del neurone della
serotonina favorendone il ritorno alla ‘omeostasi’
(equilibrio funzionale) fisiologica naturale. Dall’altro
inibisce il recettore 5HT3 il cui mal funzionamento
intacca in maniera particolare le capacità cognitive del
soggetto depresso.
In buona
sostanza, la peculiarità della molecola risiede quindi
nella sua capacità di modulare in modo selettivo
indiretto la funzione delle sinapsi, ovvero le
connessioni neuronali che si attuano nel nostro cervello
a livello soprattutto della corteccia cerebrale e
dell’ippocampo, che si traduce in un miglioramento del
processo cognitivo, in particolar modo
dell’apprendimento, ma anche nel segnale di
partecipazione alla vita”.
Fonte: pharmastar.it
vedi anche:
Dott. Federico Baranzini
EFFICACIA NELLA DEPRESSIONE
DEGLI ANZIANI

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Citation: European
Neuropsychopharmacology
The Journal of the European College of
Neuropsychopharmacology
Volume 22 (2012), Supplement 2, Page S258
C. Katona1,
T. Hansen2, C.K. Olsen3
1University College London, Dept
Mental Health Sciences, London, United Kingdom
2H. Lundbeck A/S, Biostatistics,
Copenhagen, Denmark
3H. Lundbeck A/S, Mood & Anxiety
Disorders, Copenhagen, Denmark
Objective: Lu AA21004 is a multimodal
antidepressant that is thought to work through a
combination of two pharmacological modes of action:
5-HT reuptake inhibition and receptor activity. In
vitro studies indicate that Lu AA21004 is a 5-HT3
and 5-HT7 receptor antagonist, 5-HT1B
receptor partial agonist, 5-HT1A receptor
agonist and inhibitor of the 5-HT transporter. In
vivo nonclinical studies have demonstrated that
Lu AA21004 enhances levels of the neurotransmitters
serotonin, noradrenaline, dopamine, acetylcholine,
and histamine in specific areas of the brain [1,2].
The aim of this multi-national study was to assess
the efficacy and tolerability of Lu AA21004 5 mg/day
in elderly patients with recurrent major depressive
disorder (MDD).
Methods: A total of 452 patients aged 65
years or older with a primary diagnosis of MDD (according
to DSM-IV criteria), a current major depressive
episode (MDE) of at least 4-weeks' duration, at
least one previous MDE before the age of 60 years,
and a MADRS total score of 26 or more were randomly
assigned (1:1:1) to Lu AA21004 5 mg/day, duloxetine
60 mg/day (active reference), or placebo for 8 weeks
in a double-blind study. The primary efficacy
measure was the mean change from baseline in the
24-item Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D24)
total score using an analysis of variance and the
principle of last observation carried forward for
missing assessments in a hierarchical testing
procedure. Response (at least 50% improvement from
baseline) was based on the HAM-D24 total score and
remission on the HAM-D17 (≤7). Cognitive performance
was assessed using the DSST and RAVLT.
Results: Patients had a mean age of 70.6
years (range: 65–88 years), a mean baseline MADRS
total score of 30.5 and a mean baseline HAM-D24
total score of 29.0. Lu AA21004 showed a
significantly (p = 0.0011) greater improvement on
the primary efficacy endpoint versus placebo at
Week 8 (mean difference to placebo of 3.3 HAM-D24
points). Duloxetine also showed superiority to
placebo at Week 8 (mean difference to placebo of 5.5
HAM-D24 points). HAM-D24 response (53.2% versus
35.2%) and HAM-D17 remission (29.2% versus 19.3%)
rates at endpoint were higher for Lu AA21004 than
for placebo (nominal p < 0.05). Lu AA21004 showed
superiority to placebo in cognition tests of speed
of processing, verbal learning and memory.
Withdrawals rates were 1.3% (Lu AA21004) and 4.8%
(placebo) due to lack of efficacy, and 5.8%
(Lu AA21004) and 2.8% (placebo) due to adverse
events. Nausea was the only adverse event with a
significantly higher incidence with Lu AA21004
(21.8%) versus placebo (8.3%). For duloxetine,
discontinuation due to adverse events was 9.9%, and
adverse events with significantly higher incidence
than seen with placebo were: nausea (33.1%),
constipation (13.9%), dry mouth (21.9%),
hyperhidrosis (10.6%), and somnolence (10.6%).
Conclusions: In this randomised controlled
study, the investigational drug Lu AA21004 was
efficacious and well tolerated in the treatment of
elderly patients with recurrent major depressive
disorder.
References:
1. Bang-Andersen B, Ruhland T, Jørgensen M, et al.,
Discovery of 1-[2-(2,4-dimethylphenylsulfanyl)phenyl]piperazine
(Lu AA21004): a novel multimodal compound for the
treatment of major depressive disorder. J Med Chem
2011; 54, 3206–3221.
2. Mork A, Pehrson A, Brennum LT, et al., 2012.
Pharmacological effects of Lu AA21004: a novel
multimodal compound for the treatment of major
depressive disorder. J Pharmacol Exp Ther 2012; 340:
666–675.
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FARMACI ANTIPARKINSONIANI
Il trattamento con farmaci
neurolettici provoca, in una discreta percentuale di
soggetti, l’insorgenza di una sintomatologia di tipo
parkinsoniano per antagonizzare la quale è necessario ricorrere
all’impiego di farmaci antiparkinsoniani. Da sottolineare che
questa sintomatologia risponde pressoché esclusivamente al
trattamento con i farmaci anticolinergici cosiddetti
"specifici", ma non alla levodopa, che è, invece, il trattamento
specifico del Morbo di Parkinson.
Questi farmaci si sono dimostrati particolarmente efficaci
per il trattamento della rigidità e del tremore indotti dai
neurolettici, meno per la bradicinesia. Prevengono
l’insorgenza delle distonie acute ma per il trattamento delle
crisi neurodislettiche conclamate è spesso necessario associare
delle
benzodiazepine. Non sono risultati molto efficaci nel
trattamento della acatisia che invece risente della
somministrazione di beta-bloccanti e
benzodiazepine.
Gli antiparkinsoniani attualmente in commercio in Italia
sono elencati nella tabella seguente:
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE
(mg/die) |
BIPERIDENE |
Akineton |
2-8 |
BORNAPRINA |
Sormodren |
4-12 |
METIXENE |
Tremaril |
5-15 |
ORFENADRINA |
Disipal |
50-200 |
TRIESIFENIDILE |
Artane |
6-10 |
(vedi
fonte e approfondimento)
ANTIPSICOTICI (o NEUROLETTICI)
Con la sintesi, nel 1952, della clorpromazina, si è aperta la
strada alla terapia delle psicosi, che si è sviluppata negli anni
portando alla sintesi di strumenti farmacologici sempre più efficaci che
hanno radicalmente cambiato la prognosi di tali disturbi contribuendo
fortemente, tra l’altro, al progressivo superamento dell’assistenza di
tipo manicomiale, ed allo sviluppo dell’approccio
terapeutico-riabilitativo con risultati generalmente soddisfacenti.
Gli antipsicotici (o neurolettici o tranquillanti
maggiori) possiedono un’azione terapeutica nei confronti degli stati
psicotici acuti e cronici, agendo prevalentemente sui deliri, sulle
allucinazioni, sugli stati di eccitamento psicomotorio e
sull’aggressività. Alcuni di essi sembrano avere anche un’attività
disinibente e risocializzante. I neurolettici influenzano l’attività dei
sistemi neurotrasmettitoriali dopaminergico, noradrenergico,
serotoninergico, colinergico, gabaergico ed istaminergico, ma l’azione
antipsicotica è legata principalmente al blocco dei recettori della
dopamina (DA) (anche se alcuni composti agiscono su altri sistemi).
L’eterogeneità dei recettori dopaminergici e le documentate interazioni
con altri sistemi neurotrasmettitoriali, rendono conto delle diverse
risposte terapeutiche e della diversa incidenza e tipologia degli
effetti collaterali.
A seconda della struttura chimica si distinguono: fenotiazine
(clorpromazina, tioridazina, flufenazina...), tioxanteni (tiotixene,
clorprotixene...), butirrofenoni (aloperidolo, bemperidolo...),
benzamidi (sulpiride, levosulpiride, remoxipride...),
difenilbutilpiperidine (pimozide, fluspirilene...), dibenzazepine
(clozapina) e dibenzotiazepine (clotiapina, fluferlapina).
I neurolettici hanno generalmente un’azione immediata, ma alcuni di
essi (Clopixol depôt®, Haldol decanoas®, Moditen
depôt®, Trilafon enantato®) sono stati preparati
in maniera tale che, somministrati per via intramuscolare, vengono
assorbiti lentamente (preparati retard) e la loro azione si prolunga
anche per 2-3 settimane.
Per i neurolettici ad azione immediata, è necessario ricordare che
la somministrazione per via parenterale viene generalmente usata quando
si desidera un effetto rapido ed intenso; l’uso più frequente è quello
per os suddiviso in 2-3 somministrazioni giornaliere; i preparati retard
si usano soprattutto nelle terapie di mantenimento a lungo termine o nei
quadri acuti quando il paziente rifiuta il trattamento.
Numerosi sono gli effetti indesiderati di questi farmaci:
-
Nelle fasi iniziali, e per dosi abbastanza elevate, si può
manifestare astenia, passività, talora depressione.
-
Frequenti sono gli effetti neurologici sia a breve che a lungo
termine:
-
l’acatisia, cioè uno stato di irrequietezza motoria con
incapacità di stare seduti e necessità di camminare pressoché
incessantemente
-
le crisi discinetiche acute (o neurodislettiche), non
eccezionali, soprattutto nei giovani e nelle prime fasi del
trattamento, si manifestano con contratture toniche,
involontarie che interessano prevalentemente la muscolatura del
collo (torcicollo) o quella paravertebrale (opistotono), la
muscolatura estrinseca dell’occhio (crisi oculogire),
l’orofaringe (disfagia, difficoltà respiratoria) o i masseteri
(trisma)
-
il cosiddetto parkinsonismo iatrogeno con acinesia (ipomimia,
inerzia motoria, apatia), tremori parkinsoniani soprattutto agli
arti superiori, ipertonia muscolare di tipo plastico (fenomeno
della ruota dentata o troclea)
-
la discinesia tardiva si manifesta in una modesta percentuale
(circa 2%) di pazienti trattati cronicamente ed è caratterizzata
da tremori e discinesie localizzati alla faccia e soprattutto
alla bocca ("rabbit syndrome") e da movimenti coreici agli arti.
-
Altri effetti indesiderati sono quelli a carico del sistema nervoso
autonomo (palpitazioni, secchezza della bocca, astenia, visione
annebbiata, stipsi, ritenzione urinaria nell’anziano...) e di quello
cardiocircolatorio (ipotensione ortostatica, tachicardia...).
-
A questi vanno aggiunti l’aumento di peso, gli effetti dermatologici
(reazioni urticarioidi, fotosensibilizzazione...) e quelli endocrini
(aumento della prolattina, amenorrea, galattorrea, ginecomastia,
riduzione della libido, ecc.).
-
Eccezionalmente, si possono verificare leucopenia, ittero ostruttivo
e la sindrome maligna da neurolettici (pericolosa, ma eccezionale).
Gli effetti extrapiramidali dei neurolettici possono essere
antagonizzati, almeno parzialmente, con farmaci ad azione
antiparkinsoniana.
Accanto ai neurolettici tradizionali sono stati sviluppati nuovi
neurolettici, definiti "atipici", che si caratterizzano per essere meno
gravati da effetti collaterali e per avere un diverso meccanismo
d’azione.
Particolarmente interessante è la clozapina (Leponex®),
un neurolettico praticamente privo di effetti extrapiramidali e di
attività sulla prolattina, con una buona azione sedativa ed efficace
anche in pazienti psicotici resistenti agli altri neurolettici. L’azione
prevalente è sui recettori dopaminergici D1 e scarsa sui D2; ha anche
una notevole attività anticolinergica ed aumenta il turnover della
noradrenalina. Poiché è presente il rischio di granulocitopenia e di
agranulocitosi, è necessario monitorare settimanalmente la crasi ematica
per le prime 18 settimane e poi ogni mese. Non deve essere somministrata
assieme ad altri neurolettici soprattutto depôt.
Anche l’olanzapina (Zyprexa®) è un neurolettico atipico
i cui effetti indesiderati principali sono la sonnolenza e l’aumento
ponderale; meno frequenti le vertigini, l’edema periferico,
l’ipotensione ortostatica, i lievi effetti anticolinergici, un modesto
aumento delle transaminasi epatiche e un’incidenza irrilevante di
Parkinsonismo, acatisia e distonia.
Il risperidone (Belivon®, Risperdal®) può
essere considerato il capostipite di una nuova classe di antipsicotici
che bloccano i recettori serotoninergici (S2) e, meno intensamente, i
recettori dopaminergici (D2). L’effetto del risperidone sui sintomi
positivi della schizofrenia (agitazione, aggressività, delirio,
allucinazioni, ecc.) e gli effetti di tipo extrapiramidale sembrano
riferibili all’intensa affinità per i recettori S2, mentre all’affinità
(meno intensa) per i recettori D2 sarebbero attribuibili l’effetto sui
sintomi negativi (catatonia, anaffettività, riduzione dell’espressività
verbale, ecc.), il controllo dei sintomi extrapiramidali ed il
miglioramento del tono dell’umore. Il risperidone ha anche un’attività
noradrenergica e antistaminica, irrilevanti per l’effetto terapeutico,
ma responsabili di effetti collaterali. Questi sono principalmente
l’ipotensione posturale, una certa sedazione, l’aumento ponderale e un’iperprolattinemia
(cui si correlano disturbi mestruali, ginecomastia e perdita della
libido); alle dosi terapeutiche gli effetti extrapiramidali (tremore,
rigidità, irrequietezza) sono poco frequenti e di modesta entità.
La quetiapina (Seroquel®) richiede una graduale
titolazione della posologia, fino al dosaggio massimo consigliato. Tra
gli antipsicotici atipici, è quello che provoca con minor frequenza
sintomi extrapiramidali. I principali effetti collaterali sono
soprattutto ipotensione, sonnolenza e vertigini.
Gli antipsicotici attualmente in commercio in Italia sono elencati
nella tabella seguente:
CLASSE |
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE
(mg/die) |
FENOTIAZINE |
CLORPROMAZINA |
Largactil, Prozin |
25-1000 |
DIXIRAZINA |
Esucos |
25-100 |
FLUFENAZINA |
Anatensol |
1-40 |
FLUFENAZINA DECANOATO |
Moditen Depôt |
- |
LEVOMEPROMAZINA |
Nozinan |
75-300 |
PERFENAZINA |
Trilafon |
4-64 |
PERFENAZINA ENANTATO |
Trilafon Enantato |
- |
PROMAZINA |
Talofen |
50-300 |
PROPERICIAZINA |
Neuleptil |
20-70 |
TIORIDAZINA |
Melleril |
75-800 |
TRIFLUOPERAZINA |
Modalina |
2-40 |
BUTIRROFENONI |
ALOPERIDOLO |
Haldol, Serenase |
1-50 |
ALOPERIDOLO DECANOATO |
Haldol Decanoas |
- |
BROMPERIDOLO |
Impromen |
1-15 |
DIPIPERONE |
Piperonil |
80-500 |
DROPERIDOLO |
Sintodian |
12,5-50 |
BENZAMIDI |
AMISULPRIDE |
Deniban, Solian, Sulamid |
50-1200 |
LEVOSULPRIDE |
Levobren, Levopraid |
75-300 |
SULPIRIDE |
Championil, Dobren, Equilid |
100-1500 |
SULTOPRIDE |
Barnotil |
400-1200 |
TIAPRIDE |
Italpride, Sereprile |
100-500 |
ATIPICI |
CLOZAPINA |
Leponex |
50-300 |
OLANZAPINA |
Zyprexa |
10-30 |
QUETIAPINA |
Seroquel |
50-600 |
RISPERIDONE |
Belivon, Risperdal |
2-16 |
(vedi
fonte e approfondimento)
LE BENZODIAZEPINE
Le benzodiazepine (BDZ) sono una classe di sostanze
psicoattive introdotte nel 1960 per il trattamento dell’ansia e dei
disturbi del sonno. I diversi tipi di BDZ oggi disponibili, differiscono
fra loro per la velocità di induzione e per la durata dell’effetto
psicoattivo; si distinguono:
-
le BDZ ad azione breve, che sono usate principalmente per il
trattamento dell’insonnia
-
le BDZ ad azione protratta, che sono impiegate principalmente
nel trattamento dell’ansia.
Le BDZ agiscono, a livello del SNC, legandosi a specifici
recettori, localizzati soprattutto a livello della corteccia cerebrale,
del lobo limbico e del cervelletto. Una volta legatesi al loro
recettore, esse favoriscono il legame dell’acido Gamma Amino Butirrico
(GABA) con il recettore Gabaergico post-sinaptico, e potenziano quindi
indirettamente l’effetto inibitorio generale che il GABA esercita sulla
liberazione di neurotrasmettitori eccitatori, quali Noradrenalina,
Serotonina, Dopamina, a livello del SNC.
Le BDZ hanno un indice terapeutico assai elevato e svolgono una
serie di funzioni: ansiolitico-sedativa, miorilassante, ipnotica ed
anticonvulsivante; in generale, agiscono come ipnotici a dosi
elevate, come ansiolitici in dosi moderate e come sedativi a basse dosi.
L’assunzione di dosi elevate determina una marcata sedazione, può
compromettere la lucidità mentale, la vigilanza e la coordinazione
motoria.
Gli effetti collaterali delle BDZ sono dovuti all’azione del
farmaco a livello del SNC e rappresentano una esasperazione dell’effetto
clinico ricercato (es. sonnolenza, rallentamento dei riflessi, sedazione).
I problemi legati all’uso delle BDZ sono da individuare nella
tolleranza (che è quasi sempre relativa agli effetti sedativi e non
a quelli ansiolitici), nella dipendenza fisica e psichica
(che si possono instaurare -non costantemente- a seguito di trattamenti
protratti e a dosaggi elevati) e nelle sindromi di "rebound"
(ricomparsa, in forma più accentuata, della sintomatologia ansiosa
presente all’inizio del trattamento, riconducibile alla riattivazione
dell’ansia preesistente, fino ad allora mantenuta silente -ma non
eliminata- dalla BDZ) e di astinenza che possono comparire alla brusca
sospensione del trattamento.
L’overdose da BDZ generalmente non provoca la morte se il
farmaco è assunto da solo; l’esito può essere, invece, fatale se sono
assunte in combinazione con alcool o con altre sostanze che deprimono
l’attività del SNC. Nel caso di overdose da BDZ si impiega un
antagonista specifico, il flumazenil.
Gli
effetti collaterali delle BDZ sono tali per cui il loro utilizzo su
larga scala, soprattutto per tempi protratti, è oggi considerato
scorretto. Si deve considerare, infatti, che la maggior parte dei
disturbi d’ansia risponde agli
antidepressivi e che in questi casi (come del resto nei disturbi
dell’umore) le BDZ possono essere associate agli antidepressivi
limitatamente al periodo di latenza del loro effetto terapeutico.
Le
BDZ devono essere usate con precauzione negli anziani in quanto possono
determinare l’insorgenza di effetti paradossi, come irrequietezza,
agitazione psicomotoria, fino a fenomeni allucinatori e stati
confusionali.
L’assunzione
protratta di BDZ determina tolleranza agli effetti terapeutici (a
parità di dose assunta, tali effetti diminuiscono di intensità e/o di
durata); la tolleranza è, comunque, blanda e, a dosi terapeutiche, molti
pazienti non necessitano di aumentare la dose per mantenere gli stessi
effetti ansiolitici e/o ipnotici. Nell’assunzione protratta si possono
osservare una serie di effetti tossici a carico del SNC, che si
esprimono con sintomi quali emicrania, irritabilità, confusione, deficit
di memoria, depressione,
insonnia e tremore.
La
cessazione improvvisa dell’assunzione prolungata di BDZ può provocare ad
una serie di sintomi da astinenza (disturbi del sonno, problemi
gastrointestinali, sensazione di malessere, perdita di appetito, ansia,
disturbi percettivi come alterazione della soglia sensoriale per le
luci, i suoni e gli odori; in rari casi si possono verificare psicosi e
convulsioni). La gravità dei sintomi da astinenza è più marcata con le
BDZ ad azione breve.
L’abuso
di BDZ è frequente fra i giovani che assumono droghe:
-
coloro che assumono cocaina o eroina assumono BDZ per aumentare
l’effetto acuto di tali sostanze;
-
i soggetti dipendenti da alcol e oppioidi sono a più alto rischio di
abuso e dipendenza da BDZ;
-
i pazienti in cura disintossicante per l’alcolismo o che seguono una
terapia sostitutiva con metadone, se già non ne facevano uso prima,
incominciano ad abusare di BDZ.
Le
principali indicazioni terapeutiche delle BDZ sono rappresentate
da:
-
Insonnia
-
Ansia
-
Pre-anestesia
-
Epilessia (alcuni casi)
-
Stato di male epilettico
-
Spasmi muscolari di origine centrale
-
Sedazione in alcune manovre diagnostiche o terapeutiche
-
Sindrome da astinenza da alcol
-
Induzione e mantenimento dell’anestesia bilanciata (midazepam)
Le BDZ in commercio in Italia sono riportate nella tabella
seguente, nella quale sono idicate anche le dosi consigliate.
EMIVITA |
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI CONSIGLIATE (mg/die) |
LUNGA (>24 ore) |
CLOBAZAM |
Frisium |
10-30 |
CLONAZEPAM |
Rivotril |
0,5-10 |
CLORDEMETILDIAZEPAM |
En |
1-6 |
CLORAZEPATO |
Transene |
5-60 |
CLORDIAZEPOSSIDO |
Librium, Reliberan |
10-100 |
DIAZEPAM |
Aliseum, Ansiolin, Diazemuls, Noan, Tranquirit, Valium,
Vatran |
2-60 |
ESTAZOLAM* |
Esilgan |
0,5-2 |
FLUNITRAZEPAM* |
Darkene, Roipnol, Valsera |
1-2 |
FLURAZEPAM* |
Dalmadorm, Felison, Flunox, Remdue, Valdorm |
15-60 |
KETAZOLAM |
ANSEREN |
5-30 |
NITRAZEPAM* |
Mogadon |
2,5-5 |
NORDIAZEPAM* |
Madar Notte |
5-15 |
PINAZEPAM |
Domar |
5-20 |
PRAZEPAM |
Prazene, Trepidan |
20-40 |
QUAZEPAM* |
Quazium |
7,5-30 |
INTERMEDIA
(10-"= ore) |
ALPRAZOLAM |
Alprazig, Frontal, Mialin, Valeans, Xanax |
0,5-6 |
BROMAZEPAM |
Compendium, Lexotan |
3-18 |
LORAZEPAM |
Control, Lorans, Tavor |
2-10 |
LORMETAZEPAM* |
Minians |
1-2 |
OXAZEPAM |
Limbial, Serpax |
12,5-50 |
BREVE (1,5-8
ore) |
BROTIZOLAM* |
Lendormin |
0,125-0,250 |
CLOTIAZEPAM* |
Rizen, Tienor |
5-30 |
ETIZOLAME |
Depas, Pasaden |
0,5-2 |
TEMAZEPAM* |
Euipnos, Normison |
10-40 |
TRIAZOLAM* |
Halcion, Songar |
0,125-0,50 |
* Farmaci impiegati prevalentemente come ipnotici. |
(vedi
fonte e approfondimento)
ANSIOLITICI NON-BENZODIAZEPINICI
Le
benzodiazepine, anche usate a dosaggi terapeutici, provocano spesso,
all’interruzione del trattamento, rebound dell’ansia o comparsa di una
sindrome da sospensione; esse inoltre potenziano gli effetti sedativi
dell’alcool e, parallelamente all’attività ansiolitica, determinano la
comparsa di alcuni effetti indesiderati, tra cui principalmente
rilasciamento muscolare (particolarmente rischioso negli anziani),
sedazione e distrurbi della memoria.
Questi limiti hanno stimolato la ricerca di nuovi composti che
fossero attivi nel trattamento dell’ansia, ma privi di queste attività
collaterali.
Sono state così isolate sia molecole simili strutturalmente e
farmacodinamicamente alle
benzodiazepine, ma migliorate dal punto di vista della
tollerabilità, sia composti totalmente nuovi dal punto di vista
strutturale e del meccanismo d’azione.
-
Nel primo gruppo si collocano quei farmaci che, come le
benzodiazepine, potenziano la trasmissione GABA-ergica ma
attraverso via diverse. Di questi farmaci sono attualmente in
commercio lo zopiclone (Imovane®, Nenia®) e lo
zolpidem (Niotal®, Nottem®, Stinox®),
entrambi come ipnoinducenti.
-
Nel secondo gruppo si collocano, invece, i farmaci che non agiscono
sul GABA e, tra questi, l’unico attualmente disponibile è il
Buspirone (Buspar®, Buspimen®).
Il Buspirone appartiene agli Azapironi la cui caratteristica è di
possedere un meccanismo d’azione che puù essere considerato responsabile
non solo degli effetti ansiolitici ma anche di quelli antidepressivi che
li caratterizzano. L’effetto farmacologico più evidente è comunque
quello ansiolitico, ed è stato proposto di definirli farmaci "ansio-selettivi"
poiché, contrariamente alle
benzodiazepine ed agli ansiolitici non-benzodiazepinici di cui
abbiamo ora detto, essi risultano completamente privi di attività
anticonvulsivante, sedativa o muscolo-rilassante.
Il buspirone, rispetto alle
benzodiazepine, induce l’ansiolisi con maggiore progressività e
gradualità per cui è inadatto al trattamento di quei pazienti nei quali
sia necessario ottenere un rapido contenimento della sintomatologia
ansiosa, per contro sembra più adatto al trattamento a lungo termine per
la sua scarsa propensione a creare fenomeni di dipendenza o ad indurre
comportamenti di abuso. Gli effetti terapeutici sembrano mantenersi
stabili anche dopo oltre un anno di trattamento.
Anche lo spettro d’azione del buspirone sembra leggermente diverso
da quello delle
benzodiazepine, dal momento che determina una maggiore riduzione del
punteggio dei cosiddetti "item depressivi" delle scale di controllo per
l’ansia, mentre le
benzodiazepine sono invece più efficaci nel controllo dell’ansia
somatica e dei disturbi del sonno, probabilmente per la loro maggiore
attività sedativa (alla quali sono attribuibili effetti quali
compromissione della performance cognitiva, confusione e sensazione di
stanchezza che rendono le
benzodiazepine poco adatte per il trattamento dei pazienti anziani,
per i quali sarebbe più indicato il buspirone).
La posologia oscilla tra 15 e 60 mg/die; nella maggior parte dei
casi, si rivela efficace una dose di 20-30 mg/die frazionata in 3 dosi.
Gli effetti collaterali del buspirone sono poco frequenti ed in
genere di modesta gravità; i più frequenti sono torpore, cefalea,
nervosismo, capogiri, diarrea, parestesie, agitazione, sudorazioni,
disturbi gastrointestinali, nausea e vomito.
(vedi
fonte e approfondimento)
I-MAO
Le Mono Amino Ossidasi (MAO) sono degli enzimi che
distruggono le catecolamine (adrenalina, dopamina e serotonina); gli
I-MAO (Inibitori delle Mono Amino Ossidasi) sono sostanze che,
bloccando l’attività delle MAO, aumentano le catecolamine in circolo
e, fra queste, quelle necessarie per il mantenimento di un normale
equilibrio dell’umore.
La scoperta degli I-MAO fu casuale: agli inizi degli anni
Cinquanta, sperimentando un derivato dell’iproniazide, la
Fenelzina, nel trattamento della tubercolosi, ci si rese
conto che questa molecola agiva più sull’umore che sulla
tubercolosi, e nacque così il primo antidepressivo. Sulla base di
questa osservazione furono sintetizzate altre molecole oltre alla
fenelzina (Nardil®) e la Tranilcipromina (Parnate®:
in Italia associata ad un neurolettico, la Modalina, e
commercializzata col nome di Parmodalin®).
Gli I-MAO bloccano tanto le MAO di tipo A che quelle di tipo B
e l’azione inibitoria continua fino ad un paio di settimane dopo
l’ultima assunzione.
L’azione sulle MAO-B è responsabile dei rischi che il
trattamento con questi farmaci potrebbe comportare se non venissero
rispettate alcune regole dietetiche Con il blocco delle MAO-B, la
tiramina contenuta in certi alimenti ed in certi composti non viene
inattivata e viene perciò assorbita come tale e questo rischia di
provocare crisi ipertensive.
Il paziente in trattamento con I-MAO non deve assumere,
pertanto, cibi contenenti tiramina (formaggio, vino, fegato di
volatili, cacciagione frollata, ogni cibo proteico impropriamente
conservato o fermentato, cioccolato, fichi secchi, ecc.) o composti
simpaticomimetici (anfetamine, efedrina, yoimbina, ecc) poiché si
possono verificare crisi ipertensive, con cefalea, nausea,
palpitazioni, sudorazione, rigidità nucale e, nei casi più gravi,
stato confusionale, ictus fino alla morte.
Con gli I-MAO si può verificare anche la sindrome
serotoninergica (caratterizzata da dolore addominale,
diarrea, vasodilatazione cutanea, sudorazione, ipertermia, tremore,
sedazione, mioclonie e, nei casi più gravi, rabdomiolisi o shock),
che, in genere, si manifesta nel caso di assunzione contemporanea di
farmaci ad azione serotoninergica, come gli
SSRI e la
Venlafaxina.
Alcuni anni fa è stata introdotta la Moclobemide
(Aurorix®), definita come RIMA (inibitore reversibile
delle monoaminossidasi di tipo A), che agisce solo sulle MAO-A e che
cessa l’attività inibitoria con la cessazione dell’assunzione:
questo farmaco, di più facile gestione, non ha avuto particolare
successo per cui non è più commercializzato in Italia.
L’unico I-MAO reperibile oggi in Italia è la
tranilcipromina (Parmodalin®) la cui dose consigliata è
di 1-2 cf/die.
La principale indicazione di questi farmaci è rappresentata da
depresisoni atipiche, disturbi di panico, ansia e turbe
caratteriali.
*American
Psychiatric Association (2000). DSM-IV-TR Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders , Fourth Edition, Text
Revision. Edizione Italiana: Masson, Milano.
(vedi
fonte e approfondimento)
NaRI
I NaRI (Noradrenalin Reuptake Inhibitors) sono inibitori
selettivi del reuptake della noradrenalina e pertanto l’attività
principale si esplica prevalentemente sui sintomi "noradrenergici" della
depressione, quali la perdita di energia, di motivazione, di iniziativa.
Il prototipo di questo tipo di farmaci (e per il momento l’unico
sul mercato) è la reboxetina (Davedax®), impiegata
alle dosi di 4-12 mg/die.
La reboxetina ha mostrato una potenza paragonabile a quella dell’imipramina
mettendo in evidenza una selettiva ed elevata proprietà inibitoria l’uptake
della NA, comparabile a quella della
desimipramina, con solo marginali attività inibitorie l’uptake della
5HT e nessuna attività sulla ricaptazione della dopamina. Il composto ha
dimostrato solo lieve o nessuna attività anticolinergica nei diversi
modelli animali e in vivo, nessuna attività inibitoria sulle
MAO. I principali effetti collaterali sono ipotensione e tachicardia
sinusale che sembrano essere dose-dipendenti; modesti, seppur presenti,
sembrano essere gli effetti antimuscarinici, mentre assenti sono quelli
antistaminici.
(vedi
fonte e approfondimento)
NaSSA
I NaSSA (noradrenergic and specific serotonergic
antidepressants) sono molecole che agiscono attraverso
un’azione di blocco dei recettori alfa2-adrenergici e
serotoninergici di tipo 2 e 3: grazie a questa azione aumentano
la trasmissione sia serotonergica che noradrenergica.
L’unico farmaco disponibile di questa categoria è la
mirtazapina (Remeron®) che, come gli
SSRI, non modifica le funzioni psicomotorie e cognitive, non
altera il sistema cardiovascolare o l’EEG. La dose media
consigliata è di 15 - 45 mg/die. Gli effetti collaterali sono,
essenzialmente, sonnolenza, sedazione, bocca secca e lieve
aumento dell’appetito, può ridurre la pressione arteriosa. Non
sembra avere effetti sulla sfera sessuale.
(vedi
fonte e approfondimento)
SSRI
Gli Inibitori Selettivi del Reuptake della Serotonina
(SSRI) sono una categoria di molecole ad attività
antidepressiva caratterizzate da un’elevata affinità per i
trasportatori della serotonina, che sono in grado di bloccare
con diversa potenza e selettività. Fra i farmaci con attività di
inibizione selettiva del reuptake di uno o più neuromediatori,
gli SSRI sono quelli che hanno avuto il maggior successo e che,
dopo la loro introduzione, hanno rapidamente trasformato i
TCA in farmaci di seconda scelta.
Si tratta di sostanze caratterizzate da differente
struttura chimica e questo può essere responsabile delle diverse
caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche e delle
differenze nel profilo clinico di azione dei diversi SSRI.
La maggior parte degli studi non ha dimostrato differenze
significative nell’efficacia terapeutica fra questi composti e
le altre classi di antidepressivi (in particolare i
TCA) e fra i singoli SSRI fra di loro. Alcune osservazioni
indicano gli SSRI come più efficaci dei
TCA nella
distimia, in alcune forme di
depressione atipica e nella depressione resistente ai
TCA stessi; si sono dimostrati efficaci anche nel
trattamento di disturbi d’ansia, ed in particolare nel
disturbo ossessivo-compulsivo - DOC
e nel
disturbo di panico. Essendo ben tollerati (anche in presenza
di patologie somatiche concomitanti) ed essendo assai
maneggevoli, ben si prestano sia al trattamento dell’episodio
acuto, sia al trattamento protratto nella fase di mantenimento.
Anche gli SSRI hanno degli effetti indesiderati, anche se
in misura minore rispetto agli antidepressivi; i più frequenti
sono nausea, cefalea, diarrea, ansia/irrequietezza e insomnia:
questi effetti sono, in genere, dose-dipendenti, sono più
frequenti all’inizio del trattamento e tendono a scomparire
successivamente. Gli SSRI possono indurre anche iperfagia con
eventuale aumento ponderale e disfunzioni sessuali (riduzione
del desiderio, eiaculazione ritardata nell’uomo ed anorgasmia
nella donna). Rispetto ai
TCA, gli SSRI sono meno tossici e sono utilizzabili in molte
di quelle condizioni nelle quali i
TCA sono controindicati (glaucoma ad angolo chiuso,
cardiopatie, ipertrofia prostatica, soggetti senili, ecc.) e la
letalità da overdose è virtualmente inesistente.
Un vantaggio degli SSRI è che la dose efficace è abbastanza
vicina alla dose unitaria: questo consente di limitare uno dei
problemi che si verificava spesso con i
TCA, di essere usati (soprattutto da parte del non
psichiatra) alla dosi più basse, generalmente inadeguate e
fornire dei risultati terapeutici accettabili.
Gli SSRI in commercio in Italia sono riportati nella
tabella seguente, nella quale sono indicate anche le dosi
consigliate.
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI
CONSIGLIATE
(mg/die) |
CITALOPRAM |
Elopram, Seropram |
20-60 |
ESCITALOPRAM |
Cipralex, Entact |
10-20 |
FLUOXETINA |
Fluoxeren, Prozac |
20-60 |
FLUVOXAMINA |
Dumirox, Fevarin, Maveral |
100-300 |
PAROXETINA |
Daparox, Eutimil, Sereupin, Seroxat |
20-60 |
SERTRALINA |
Tatig, Zoloft |
50-200 |
(vedi
fonte e approfondimento)
SNRI
Gli
SSRI hanno rappresentato certamente un significativo miglioramento
rispetto agli antidepressivi in uso fino a quel momento; ma neppure
l’aumento della specificità recettoriale si è dimostrata una panacea per
il trattamento della depressione.
Le ricerche successive hanno portato all’individuazione della
venlafaxina, una molecola che, apparentemente, potrebbe apparire un
ritorno ai
TCA, visto che possiede una duplice azione agendo selettivamente sul
reuptake sia della serotonina che della noradrenalina, aumentando il
tono serotoninergico e noradrenergico e proponendosi come prototipo di
una nuova classe di farmaci, gli SNRI (serotonin-noradrenalin
reuptake inhibitors). A differenza dei
TCA, non hanno significativa affinità per i recettori colinergici
muscarinici, adrenergici e istaminergici. Questi farmaci hanno
dimostrato un’efficacia antidepressiva non inferiore a quella degli
SSRI, una buona tollerabilità ed una maggiore attività sulla
sintomatologia ansiosa e sui sintomi somatici associati alla depressione
(dolore somatoforme, dolore cronico, cefalea, ecc.).
L’unico composto disponibile in commercio in Italia è la
venlafaxina (Efexor®), impiegata mediamente alla dose di
75-375 mg/die.
(vedi
fonte e approfondimento)
STABILIZZANTI DELL’UMORE
La necessità di una terapia di stabilizzazione nei
disturbi dell’umore nasce da una serie di evidenze:
-
più della metà dei pazienti che hanno presentato un episodio
di depressione o di mania ne avranno altri nel corso della
loro vita;
-
il rischio di futuri episodi aumenta col numero degli
episodi precedenti e, di conseguenza, la durata degli
intervalli di benessere fra un episodio e l’altro si riduce
progressivamente;
-
il recupero funzionale è molto spesso posticipato rispetto
alla guarigione sintomatica con conseguenze negative sulla
qualità di vita dei pazienti;
-
le frequenti sospensioni dell’attività lavorativa possono
comportare la perdita del posto di lavoro;
-
il trattamento della fase acuta, pur comportando una più
precoce guarigione sintomatica degli episodi, sembra poter
comportare, alla lunga, il rischio del viraggio (ed al
limite della rapida ciclicità) o della cronicità.
L’effetto di stabilizzazione sull’umore del litio fu
scoperto negli anni Quaranta da Cade. I meccanismi attraverso i
quali questo effetto si esplica non sono ancora del tutto
chiari.
Il litio è lo stabilizzante probabilmente più efficace, ma
il suo impiego richiede alcune precauzioni sia in funzione
dell’attività terapeutica sia dei possibili effetti collaterali
sistemici. Prima di iniziare il trattamento è necessario
effettuare una serie di indagini per verificare la funzionalità
cardiaca, renale e tiroidea e per escludere la presenza di una
gravidanza in atto; questi controlli devono essere ripetuti ogni
6-12 mesi. Il trattamento inizierà con una dose di 600 mg/die
suddivisa in due somministrazioni equidistanti (mattina e sera)
ogni 7-10 giorni si valuta la litiemia e si apportano i
necessari aggiustamenti posologici fino a che il valore della
litiemia stessa non si stabilizza in un range terapeutico (0,50
- 1,20 mEq/l), dopo di che il controllo deve essere ripetuto
ogni 2-3 mesi.
Una volta iniziata, la terapia con il litio non dovrebbe
essere più interrotta: si calcola che il rischio di ricadute
entro sei mesi dalla sospensione del trattamento si aggiri
intorno al 50%; circa il 20-25% di coloro che hanno sospeso il
trattamento, non rispondono più al litio nel caso dovesse
rendersi nuovamente necessario.
Il litio agisce a livello sistemico inducendo effetti
diversi da quelli propriamente terapeutici a livello di vari
organi ed apparati, alcuni dei quali semplicemente fastidiosi,
ma di scarso rilievo clinico, altri di gravità tale da
richiedere l’immediata sospensione della terapia e, nei casi di
tossicità, il ricorso all’emodialisi renale o alla dialisi
peritoneale. I principali effetti sono:
-
Tiroide: Ipotiroidismo nel 3-5% dei pazienti: ridurre
la dose o aggiungere ormone-sostitutivo. Gozzo ipotossico
nel 4-12% dei pazienti: sostituire il litio con altro
farmaco
-
Rene: Diminuzione della funzionalità tubulare
collegata alla dose e alla durata del trattamento.
Diminuzione della capacità di concentrazione renale nel
15-30% dei pazienti. Poliuria. Funzione glomerulare
preservata. Modificazione istologica non litio specifica
-
Sistema nervoso: Disturbi normalmente transitori e
collegati alla dose; importante motivazione per la mancata
compliance; l’intensificazione può essere evidenza di
tossicità; spesso correlati ad alti valori di litio
eritrocitario. Fine tremore nel 33-65% dei pazienti;
persiste nel 4-15% dei pazienti in terapia di mantenimento.
Diminuzione della coordinazione motoria: una lieve atassia
può indicare tossicità. Debolezza muscolare. Segni
extrapiramidali. Rigidità a "ruota dentata" lieve nel 48-59%
dei pazienti, associata a trattamenti lunghi. Variazioni non
specifiche all’EEG. Disturbi cognitivi e mnesici
-
Metabolismo: Aumento di peso. Alterazione del
metabolismo glucidico. Iperparatiroidismo: raro. Lieve
decalcificazione, ma senza osteoporosi clinica
-
Cute: Lesioni maculo-papulari e acneiformi: insorgono
precocemente; reversibili; possono non ripresentarsi al
momento della riassunzione del litio. Psoriasi: non
infrequente nei pazienti con anamnesi remota o familiare di
psoriasi. Moderata perdita di capelli: rara; quasi sempre
femminile; rarissima l’alopecia
-
Cuore e vasi: ECG: appiattimento o inversione
dell’onda T, benigna, reversibile. Disfunzione del nodo del
seno: rara; dosedipendente
-
Apparato gastroenterico: Pirosi gastrica, diarrea:
transitori, collegati all’ora della somministrazione o al
tipo di preparato; in rari casi vi è una intolleranza
gastrica o intestinale assoluta
Il litio può avere azione teratogenica tra la terza e la
nona settimana di gravidanza, periodo durante il quale si
sviluppa il sistema cardiovascolare. È questo il motivo per cui
è opportune sospendere il litio in gravidanza: le pazienti in
trattamento con litio che desiderino una gravidanza dovrebbero
avvertire lo psichiatra con un certo anticipo onde poter
programmare una sospensione graduale della terapia.
L’allattamento è da evitare poiché il litio passa attraverso il
latte materno.
Il trattamento con il litio dovrebbe essere effettuato
sotto controllo dello psichiatra.
Per quanto trattamento di prima scelta nella profilassi del
Disturbo Bipolare, il litio ha alcuni limiti (scarsa efficacia
nella rapida ciclicità e negli stati misti, ridotta funzionalità
renale, tiroidea o paratiroidea, psoriasi, notevole aumento
ponderale) e perciò sono stati proposti gli anticonvulsivanti
(principalmente carbamazepina e valproato, ma anche gabapentin,
lamotrigina, oxcarbazepina, topiramato) come terapia alternativa
o aggiuntiva al litio. In molte circostanze questi farmaci si
sono dimostrati effettivamente utili, sia da soli che in
associazione al litio, nella terapia antimaniacale ed in quella
di mantenimento.
Il razionale d’uso dei farmaci anticonvulsivanti come
stabilizzatori dell’umore deriva dalla trasposizione in campo
psichiatrico del modello elettrofisiologico del kindling e della
sensibilizzazione comportamentale. Il presupposto di questi
modelli è che le ricorrenze di malattia non siano casuali, ma
che vi sia una modalità di incremento della frequenza nel tempo
così come avviene per le crisi epilettiche per le quali il
kindling trova una completa omologia.
I farmaci in commercio in Italia sono i seguenti:
MOLECOLA |
NOMI COMMERCIALI |
DOSI
CONSIGLIATE
(mg/die) |
LITIO CARBONATO |
Carbolithium |
600-1200 |
CARBAMAZEPINA |
Tegretol, Tegretol CR |
600-1200 |
GABAPENTIN |
Neurontin |
600-1200 |
LAMOTRIGINA |
Lamictal |
200-400 |
OXCARBAMAZEPINA |
Tolep |
600-1200 |
VALPROATO DI MAGNESIO |
Depamag |
800-1500 |
VALPROATO DI SODIO |
Depakin, Depakin Chrono |
800-1500 |
(vedi
fonte e approfondimento)
|
ALTRE FORME DI TERAPIA
PSICHIATRICA
TERAPIA ELETTROCONVULSIVANTE (TEC)
(Elettroshock)
La terapia elettroconvulsivante (TEC)
consiste nell'induzione di una crisi convulsiva mediante l'impiego di
uno stimolo elettrico mentre il paziente è in anestesia generale e
rilasciamento muscolare.
In accordo con le linee guida
internazionali, il trattamento con la TEC è indicato nella
depressione, nella
mania e nei
disturbi dello spettro schizofrenico ; altre indicazioni sono
rappresentate dalla
catatonia e dalla
sindrome maligna da neurolettici . In questi disturbi la sua
efficacia è ampiamente dimostrata e documentata da numerosi studi
condotti con adeguate metodologie scientifiche. Viene impiegata come
trattamento di prima scelta solo in particolari condizioni: stato di
arresto psicomotorio, stato catatonico, elevato rischio autolesivo,
farmacoresistenza e/o di intolleranza ai trattamenti farmacologici.
Non vi sono controindicazioni
assolute all'impiego della TEC: condizioni di maggiore rischio
per questa terapia sono l'infarto del miocardio recente, la grave
insufficienza coronarica, lo scompenso cardiaco, le formazioni
aneurismatiche, le patologie del SNC che determinano un aumento della
pressione endocranica, come i tumori cerebrali o altre lesioni cerebrali
occupanti spazio.
La decisione di praticare la TEC deve
essere presa congiuntamente dallo psichiatra e dall'internista i quali
dovranno valutare, ognuno per le proprie competenze, il rapporto
rischio/beneficio.
Gli effetti collaterali più frequenti
sono rappresentati dalle alterazioni della sfera cognitiva (stato
confusionale transitorio immediatamente dopo l'applicazione e disturbi
della memoria -amnesia anterograda e retrograda- in larga misura
reversibili).
(da: L Conti, P Medda, C Manzi: Le terapie
fisiche. In: GB Cassano et al. "Manuale di Psichiatria", Utet,
Torino, in stampa.)
(vedi
fonte e approfondimenti)
Altri links:
STIMOLAZIONE MAGNETICA
TRANSCRANICA (SMT)
La Stimolazione
Magnetica Transcranica (SMT) è una metodica non invasiva che
permette la stimolazione elettrica di specifiche aree della corteccia
cerebrale. L'introduzione di questa tecnica nella pratica clinica è
molto recente ed al momento di impiego limitato.
L'efficacia della
SMT non è legata alle crisi epilettiche; solitamente si effettuano 4-5
sedute settimanali durante le quali vengono eseguite stimolazioni
multiple. E' solitamente ben tollerata. Sembra efficace nel trattamento
dei disturbi dell'umore, attraverso la stimolazione focale delle regioni
cerebrali implicate nella regolazione dell'affettività.
Il miglioramento
della sintomatologia depressiva si osserva a seguito della
stimolazione della corteccia prefrontale dorso-laterale sinistra.
Questa tecnica sembra in grado di modulare selettivamente l'attività
delle aree cerebrali coinvolte nella patofisiologia del
Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) e del
Disturbo Post-Traumatico da Stress (DPTS).
(da: L Conti, P Medda, C Manzi: Le terapie
fisiche. In: GB Cassano et al. "Manuale di Psichiatria", Utet, Torino,
in stampa.)
(vedi
fonte e approfondimenti)
Approfondimento sulla SMT:
STIMOLAZIONE DEL NERVO VAGO
La stimolazione del nervo vago si effettua
mediante un generatore di impulsi elettrici, simile ad un pacemaker, che
viene posizionato a livello della parete toracica e collegato, per via
sottocutanea, al nervo vago di sinistra.
Impiegata originariamente in alcune forme di
epilessia resistente ai trattamenti farmacologici, è stata applicata alla
depressione resistente in base al riscontro di un miglioramento del tono
dell’umore nei pazienti epilettici trattati ed all’evidenza delle proprietà
antidepressive di alcuni farmaci anticonvulsivanti.
I primi dati indicano un miglioramento della
sintomatologia depressiva nel 40% dei pazienti con depressione resistente e che
i risultati si mantengono nel lungo termine.
(da: L Conti,
P Medda, C Manzi: Le terapie fisiche. In: GB Cassano et al. "Manuale di
Psichiatria", Utet, Torino, in stampa.)
(fonte
e approfondimenti)
Approfondimento sulla "stimolazione del nervo vago":
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